Il pavimento è di granito grigio. Chiaro e scuro. Hanno provato a fare una decorazione, un'alternanza di chiaro e scuro. Io non l'avrei fatta. Il granito è già alternato per conto suo. Lo guardo sempre, guardo sempre per terra quando vengo da te.
Ogni tanto spio le persone che vanno avanti e indietro, sguardi seri, stanchi, pochi sorridono, pochi bambini. Ma c'è tanta luce, l'hanno progettato così questo posto, con tanta luce naturale.
Faccio le scale, solo un piano, l'ascensore mi ha scocciato: rischio di starci troppo tempo, intrappolata dalla sua modalità omnibus, su e giù, su e giù.
Quasi conto i passi che mi separano dalla porta grigia.
Suono, sono fuori orario. Mi aprono, faccio un respiro profondo, arrivo alla stanza giusta e indosso il sorriso.
Le porte delle stanze sono un bel giallo acceso, come il pavimento, giallo e arancio. La trovo una scelta felice, toglie la neutralità dei soliti grigi, verdi, azzurri.
Ti trovo assopita. So che non dormi. Come si fa a dormire con quel viavai?! Ti accarezzo la guancia per avvisarti della mia presenza e maledico tua madre che di carezze non te ne ha date mai e benedico te, che di carezze avresti voluto darmene di più. Accendi gli occhi e sposti un pochino il viso. Sei contenta di vedermi. La mia presenza ti dà un po' di sicurezza, ti senti protetta. Ti muovi un po' anche se non puoi girarti. Domande di routine: hai dormito stanotte? hai mangiato? il dolore come va? ....Ti racconto le novità, poche, visto che ci siamo viste solo un giorno fa, ma noi sappiamo parlare anche per ore di niente. Ti prendo un po' in giro e intanto ti faccio la "radiografia" con gli occhi. Non mi scappa niente, ma tendo a minimizzare. So che nelle 20 ore in cui non ci vediamo pensi troppo, ti preoccupi. Non voglio che ti tormenti, in questo momento non serve, nuoce. Sono performante, sono capace di concentrarmi sul momento, di renderlo eterno, rimuovo il passato e il futuro. Ho imparato a fare così, contro la mia natura.
Ascolto la tua voce e voglio fissare nel cuore i tuoi occhi, espressivi come i miei. Sfoghi la tua stanchezza. Ti giri con fatica. Muovi le gambe. I piedi messi fuori dal lenzuolo, hai sempre caldo. Li osservo, sono un po' gonfie le caviglie, non cammini molto.
Il resto del tempo passerà così, con te che racconti e ascolti, con me che cerco il ridicolo di ogni cosa. E con il silenzio, di quelle pause minime e infinite, che è già troppo pieno di cose che nessuna di noi due vorrebbe.
Ho il cuore gonfio, ma non lo devi vedere, devi vedere il mio sorriso, devi sentire la mia carezza, devi nutrirti dell'amore che provo per te, che non riesco mai a dirti, che non riesco mai a nascondere. Perchè tu sei stata l'amore primo e assoluto che mi ha permesso di amare, poi, tanto, tantissimo. E il pianto oggi lo ingoio, perchè tengo duro . Ce la faccio. E se non ce la faccio, guardo per terra.
Mammamia, Ninin, è bellissimo e struggente questo racconto che sa di malattia, di amore, di sofferenza e speranza. Un abbraccio a te e a lei, di cuore.
RispondiEliminasinforosa
:*
EliminaTi abbraccio forte. Ti capisco perché ho passato un anno terribile, cercando di far finta di non veder peggiorare la situazione, perché lei ha lottato come un leone e non voleva arrendersi. Ed è faticoso. Ti senti stanca e subito dopo in colpa, perché glielo devi, è giusto così, ma ci sono momenti in cui non ce la fai più.
RispondiEliminaCoraggio, indossa il tuo sorriso migliore e fatti forza. Un abbraccio grande grande.
:*
Elimina:*
RispondiEliminaCara Nanin, ti sono vicina in questo momento così faticoso. Veder soffrire chi si ama è sempre difficile e si vorrebbe dirottare su di sè la sofferenza. Sei bravissima ad armarti di sorrisi e carezze per aiutarla. Ti sono vicina con l’affetto e la preghiera.
RispondiEliminaUn abbraccio
Maria
:*
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